Nella Gazzetta Ufficiale del 15 maggio 2000, n. 111, è stato pubblicato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 dicembre 1999, titolato “Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti”.
La legge 335/1995 ha stabilito che il TFR per il pubblico impiego dovesse essere corrisposto dalle amministrazioni ovvero dagli enti che già provvedevano al pagamento dei trattamenti di fine servizio.
Quanto disposto dalla legge 335/95 è stato poi integrato dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 e dalla legge 23 dicembre 1998 n. 448, collegando l’introduzione del TFR all’avvio della previdenza complementare per il pubblico impiego.
Dette norme stabiliscono che si possa trasformare l’indennità di fine servizio(buonuscita) in TFR al fine di favorire il processo di attuazione della previdenza complementare. Per chi opta in tal senso, una quota della vigente aliquota contributiva relativa all’indennità di fine servizio, pari all’1,5%, è destinata al finanziamento della previdenza complementare.
Il ruolo dell’INPDAP e gli effetti sulla contribuzione.
In base a quanto disposto dal DPCM, in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 8, L. 335/95, per il personale iscritto all’INPDAP ai fini dell’erogazione dei trattamenti di fine servizio, il TFR è accantonato figurativamente e liquidato alla cessazione dal servizio del lavoratore dall’INPDAP stesso.
Pertanto, la gestione del fondo per il trattamento di fine rapporto dei dipendenti dello Stato, delle aziende di Stato, della scuola, dell’università, della sanità e degli enti locali è affidata all’INDPAP.
A tal fine è previsto che le Amministrazioni pubbliche continuino a versare in misura invariata, anche per il personale che abbia optato per il TFR e previdenza complementare o al quale si applica automaticamente la disciplina del TFR, la contribuzione stabilita per il finanziamento delle indennità di fine servizio.
In particolare, il contributo previdenziale a favore dell’INPDAP da parte delle amministrazioni pubbliche resta fissato per il personale dello Stato nella misura del 9,60% dell'attuale base contributiva per l’indennità di buonuscita di cui al d.P.R.
1032/73. Nonostante il contributo complessivo che le Amministrazioni devono versare resti invariato, per i dipendenti ai quali si applica il TFR è abolito il contributo a carico del lavoratore nella misura del 2,5% della base retributiva prevista dal D.P.R. 1032/73 e la relativa rivalsa da parte del datore di lavoro.
Tuttavia il DPCM, ha “sterilizzato”gli effetti di tale abolizione per cui: la retribuzione lorda è ridotta in misura pari al contributo obbligatorio soppresso e, quindi, resta invariata la retribuzione netta; la soppressione del contributo non produce effetti sulla retribuzione imponibile ai fini fiscali ai fini pensionistici, contrattuali e dell’applicazione delle norme sul TFR, la
retribuzione lorda è incrementata figurativamente di una quota pari alla riduzione sopraindicata.
Questa disposizione non si applica solo al personale già in servizio al 30 maggio 2000 a tempo determinato e al quale è computato il TFR per effetto dell’esercizio dell’opzione a favore della previdenza complementare, ma anche al personale assunto successivamente a tale data che non ha mai subito la ritenuta del 2,5% sulla retribuzione, ma per il quale si pone un’esigenza di parità di trattamento contrattuale dei rapporti di lavoro prevista dall’art. 49, comma 2, del D.lgs. 29/93.
L’amministrazione pubblica datrice di lavoro pertanto, attraverso meccanismi contabili, assicura l’invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali.
In sostanza l’iscritto assoggettato al regime del TFR, sia optante, sia neoassunto a tempo determinato sia indeterminato, dovrà percepire la stessa retribuzione netta dell’iscritto che ha mantenuto il regime di TFS.
Tanto ciò premesso, si pone l’accento che per i sopra citati dipendenti pubblici in regime di TFR non trovano applicazione né la sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012, né l’art. 1, commi 98-101, della legge 228/2012, in considerazione del fatto che costoro non sono mai stati riguardati dalla norma dichiarata illegittima.
In proposito l’Inps per ulteriori chiarimenti, ha emanato il recente messaggio n. 10065 del 21 giugno.
Lì 02.07.2013 Giuliano coan
Consulente in diritto previdenziale e docente in materia.
Autore di studi e pubblicazioni