PENSIONI/CIDA: LA CONSULTA ELIMINA UNA GRAVE INGIUSTIZIA

La sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015

Con la sentenza n. 70/2015, la Corte Costituzionale ha bocciato il meccanismo perequativo degli assegni di pensione - vale a dire il ricalcolo degli stessi, adeguandoli al costo della vita e con riferimento ai rispettivi importi spettanti a dicembre dell’anno precedente - introdotto dal governo Monti con la legge n. 214/2011 e a valere soltanto per gli anni 2012/2013.

Fino al 2011, a decorrere dalle regole fissate con l’art. 69 della legge n. 388/2000, il meccanismo prevedeva una rivalutazione degli importi di pensione in base ad un indice percentuale diverso e corrispondente a diversi scaglioni di reddito prefissati:

MISURA DEGLI ASSEGNI

2011

Fino a 3 volte il trattamento minimo

100

Tra 3 e 4 volte il trattamento minimo

90

Tra 4 e 5 volte il trattamento minimo

90

Tra 5 e 6 volte il trattamento minimo

75

Oltre 6 volte il trattamento minimo

75

 

Per gli anni 2012 e 2013, la disposizione - introdotta dal governo Monti e abrogata - non ha previsto invece alcun trattamento di perequazione e in aggiunta non stabilendo alcuna distinzione per scaglioni per la quota-parte della misura dei trattamenti di pensione eccedente 3 volte il trattamento minimo Inps.

Con la sentenza, la Consulta ha giudicato che “non solo la sospensione ha una durata biennale, essa incide anche sui trattamenti di importo meno elevato”.

Il rilievo in ordine alla validità biennale della disposizione è stato operato dalla Consulta a motivo del fatto che dal 1993 l’adeguamento dei salari all’inflazione (caro-vita) è stato pre-fissato con cadenza annuale.

Quanto alla questione principale, la Corte ha sentenziato che “L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost.”.

E' opportuno ribadire che la sentenza in questione non investe le diverse disposizioni di perequazione dei trattamenti di pensione in vigore viceversa dal 2014. Pertanto, derivante ed immediato effetto sostanziale della sentenza, è quello esclusivo del risarcimento del danno economico subito dai pensionati pregiudicati dalla vigenza e operatività della disposizione della legge n. 214/2011 abrogata.

Il MEF e l’Inps dovranno pertanto dapprima provvedere al calcolo dei rimborsi, che - in base a prime stime, pertanto approssimative - dovrebbero riguardare circa 5,2 milioni di trattamenti di pensione per un importo di rimborso complessivo pari a  circa 9 miliardi al netto dell’Irpef. La modalità o le modalità dei rimborsi saranno quindi stabilite successivamente, mediante apposite disposizioni.

                                                                                                                                                                                            Angelo Giubileo

 


» Documenti allegati:
   Documento allegato ... QUI il comunicato stampa CIDA


 
Categoria: Approfondimenti Data di creazione: 04/05/2015
Sottocategoria: Sottocategoria n. 1 Ultima modifica: 04/05/2015
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