La Legge sulla Buona Scuola procede, tra alti e bassi, mantenendo tratti di criticità che più volte abbiamo sottolineato anche con indicazioni propositive.
Uno dei tratti di criticità è costituito dalla “distrazione” del legislatore rispetto ai servizi amministrativi che in un ente autonomo rappresentano un “asset” di fondamentale importanza, per garantire il raggiungimento dei fini istituzionali.
Qualsiasi atto di programmazione, organizzazione, progettazione, previsione, realizzazione, attuazione, monitoraggio, verifica, valutazione, controllo, negoziazione, vigilanza, gestione degli alunni, del personale, del patrimonio, delle risorse finanziarie, di sicurezza e salute, di accesso e riservatezza, di partecipazione ai procedimenti, di convocazione di organi, di verbalizzazione di riunioni, delibere e decisioni, di pubblicità e trasparenza etc… etc… richiede lo svolgimento di specifiche attività amministrative regolate da una pluralità di fonti (leggi, regolamenti, indirizzi, linee guida, direttive , circolari) provenienti da più soggetti; fonti e soggetti che sono “governati” dai principi di gerarchia e competenza, nonché dal valore delle norme nel tempo e nello spazio.
Una tale mole quantitativa e qualitativa di attività amministrative a rilevanza interna ed esterna non può gravare sulle “spalle” di un unico soggetto apicale avente qualifica dirigenziale e con titolarità di legale rappresentanza dell’ente in tutte le sue manifestazioni di volontà. Troppi poteri (meglio troppe funzioni) e troppa responsabilità senza “filtri” interni e con un controllo esterno debole, salvo i casi patologici dove entra in scena il controllo di legalità della magistratura civile, penale, amministrativa e contabile.
In verità non si tratta solo di una questione di poteri (eccessivi) e di responsabilità (enormi) per un unico soggetto ad un tempo legale rappresentante, datore di lavoro, sostituto d’imposta e titolare di relazioni sindacali (un unicum nel panorama delle AA.PP. italiane, e forse non solo), ma di reale competenza/capacità di poterle effettivamente svolgere con compiuta conoscenza e contezza (in scienza e coscienza).
Realtà ed esperienza ci dicono che nella quasi totalità delle scuole l’attività amministrativa e contabile sulla più parte delle funzioni dianzi descritte (probabilmente per difetto) viene effettivamente svolta non dai dirigenti scolastici ma dai direttori dei servizi generali e amministrativi, in ragione di una specifica preparazione e predisposizione, anche culturale, verso queste attività.
Vi è una distanza tra effettività di esercizio delle funzioni in parola e imputazione di responsabilità di palmare evidenza con reciproca insoddisfazione dei soggetti coinvolti (dirigente e direttore): l’uno insofferente alla necessaria burocrazia e l’altro stanco di “produrre” atti che non firma e per i quali non riceve il dovuto riconoscimento.
Questa situazione nota non solo ai soggetti direttamente coinvolti, ma a tutti coloro che conoscono il sistema istruzione e/o vi interagiscono è stata autorevolmente riproposta dalla pubblicazione di una recente ricerca sociologica dal titolo “Gli equilibristi - La vita quotidiana del dirigente scolastico: uno studio etnografico” commissionata dalla Fondazione Giovanni Agnelli di Torino e curata dal Ricercatore Massimo Cerulo del Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Perugia.
Scrive nella prefazione Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Giovanni Agnelli, "La selezione, la formazione, la carriera e le competenze del personale amministrativo, e in particolare del Dsga, sono fra i temi meno frequentati dal dibattito sulla scuola: l’analisi di Cerulo suggerisce che chi si occupa di politiche scolastiche ha commesso un errore a non dedicare adeguata attenzione a una figura così centrale alla scuola dell’autonomia. Nel testo, Cerulo propone che al Dsga venga riconosciuto un ruolo dirigenziale, che di fatto già svolge, in modo da sgravare il dirigente di compiti amministrativi per cui non è particolarmente formato. A nostro avviso, se è corretto definire una carriera amministrativa (e non solo, ci torneremo…) all’interno della scuola, tuttavia, creare una diarchia nella gestione, senza un chiaro rapporto gerarchico, può essere controproducente, perché annacqua la responsabilità di ognuno ed è probabile fonte di conflitti."
Scrive il Ricercatore nel paragrafo 5.4 dedicato a "Carriera per il Dsga e ufficio di staff per il Dirigente" che occorre "creare la carriera dirigenziale per il Dsga. In fondo, è un ruolo che già svolge nella quotidianità: dirige la segreteria occupandosi di tutto quello che concerne l’ambito amministrativo. Tuttavia, attualmente la responsabilità in merito resta sulle spalle del Dirigente il quale, molte volte, neanche potrebbe leggere o mettere naso in questioni amministrative in quanto, ripeto, privo delle competenze per farlo. Creare la carriera dirigenziale per il Dsga significherebbe riconoscerne valore e attribuirgli formalmente responsabilità, sgravando il Preside dalla gestione-monitoraggio dell’ambito amministrativo. Una sorta di diarchia ben temperata grazie a un feeling collaborativo che immagino verrebbe a crearsi tra i due per il bene comune dell’istituzione scuola (le osservazioni svolte confortano tale interpretazione).”.
Condividiamo la proposta del Ricercatore Cerulo e facciamo nostra la posizione (saggia ed equilibrata) del Direttore Gavosto: deve essere evitata la diarchia (con puntuale distinzione delle funzioni) e definito un chiaro rapporto di gerarchia, che vedrà comunque il Dirigente scolastico in posizione sovraordinata.
Ci permettiamo ricordare che la presenza di più dirigenti in uno stesso ente (o ufficio) è condizione diffusa in molte Amministrazioni pubbliche senza che ciò generi controproducenti diarchie, anzi si realizza la valorizzazione e si accresce il ruolo del dirigente posto in posizione di vertice.
Lì, 27.01.2016
IL PRESIDENTE
Giorgio Germani