L’Anquap dice no alla volontà governativa (e per il momento anche parlamentare) di introdurre per i pubblici dipendenti sistemi di verifica biometrica dell’identità .
Sull’argomento l’Anquap si riconosce completamente nella posizione espressa dalla CIDA con il documento presentato alla Camera dei Deputati - Commissione Affari Costituzionali e Lavoro - nell’audizione del 19/2/2019 che di seguito si riporta:
“Abbiamo più volte manifestato netto dissenso per l’introduzione di “sistemi di verifica biometrica dell’identità” - misura in vigore per motivi di anti-terrorismo negli aeroporti e in altri luoghi “sensibili” - al fine di registrare le presenze in servizio dei dipendenti pubblici. Una siffatta misura potrebbe risultare offensiva e lesiva della dignità e dell’orgoglio di milioni di lavoratori pubblici onesti. Nessuna deriva “social-media” può consentire che si individuino i dipendenti pubblici come “un male”, perché ciò assomiglia alle campagne propagandistiche contro i “fannulloni” che si credevano relegate ad un passato politico ormai lontano. Si favorisce nella coscienza nazionale una forma di ostilità e diffidenza reciproca fra categorie diverse di lavoratori-dipendenti: questa misura, a nostro avviso, é palesemente in contrasto con un principio generale sancito dallo Statuto dei Lavoratori (applicabile anche ai lavoratori pubblici in virtù del principio di omogeneizzazione della normativa dell’impiego pubblico e privato): l’articolo 4 della legge n. 300/1970 limita l’impiego degli “impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” e testualmente recita che tale modalità “non si applica …… agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. L’articolo è in stridente contrasto con il principio generale di salvaguardia della dignità dei lavoratori. Esso risulta, peraltro, in contrasto con il principio della proporzionalità sancito dai Trattati dell’Unione Europea, come diffusamente argomentato pochi giorni fa in questa stessa sede dal Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, con osservazioni verso le quali si esprime totale condivisione. In ordine al richiamo operato dal testo
dell’articolo al portale “NoiPa” predisposto presso il Ministero dell’Economia e Finanze, tale richiamo appare inconferente perché il portale in questione si occupa per i dipendenti centrali e periferici dello Stato della “gestione” delle presenze (monitoraggio dei dati giornalieri e mensili ai fini del conteggio dello stipendio e dell’emissione del cedolino mensile) e non della loro “registrazione”: pertanto, non esiste alcun sistema di verifica biometrica attualmente operante nella pubblica amministrazione italiana.
Appare, infine, apodittica l’affermazione presente nella Relazione al disegno di legge secondo la quale “la falsa attestazione della presenza in servizio è un fenomeno diffuso”. Anche qui c’è un’implicita chiamata di responsabilità all’intera categoria dei dipendenti pubblici, non suffragata da alcun dato statistico, e non solo ai singoli individui che sbagliano. E’ vero, invece, che la recente normativa e le azioni poste in essere dalle forze dell’Ordine poste a contrasto di questo odioso reato e insulto alla fiducia dei cittadini hanno prodotto arresti, condanne penali, licenziamenti. Del resto, lo stesso elenco presentato in allegato alla Relazione denuncia un netto incremento delle azioni di contrasto avvenuto dopo l’anno 2016 (n. 77 casi di contrasto certificati dall’anno 2017 contro i 13 fino al 2016). La corretta valutazione dell’impatto delle norme di contrasto emanate (decreto legislativo n. 116/2016) necessita di una chiara metodologia, che non risulta esplicitata nella relazione, di rilevazione ex-ante ed ex-post. Sono sicuramente fuorvianti per una corretta valutazione del fenomeno – odioso e da combattere, si ripete - le semplici percezioni e impressioni raccolte qui e là dalle più varie fonti mediatiche, come pure si mostra di accreditare anche ai più alti livelli politici di responsabilità.
La necessità di far crescere presso la pubblica opinione la reputazione dei dipendenti pubblici va supportata non con interventi che ne sminuiscono in modo indiscriminato dignità e buon nome, ma con idonei ed efficaci sistemi di valutazione che diversifichino i meriti di ciascuno.”
Ci auguriamo che il Senato della Repubblica, in terza lettura, elimini la norma in questione e ad un tempo dichiariamo il nostro appoggio alle ulteriori iniziative che la CIDA intenderà assumere sull’argomento.
Lì, 15.04.2019
IL PRESIDENTE
Giorgio Germani