Cedere la propria firma digitale (o utilizzare quella di altri) quali reati comporta?

Segnaliamo un interessante articolo pubblicato sul quotidiano on-line degli Enti Locali sulla cessione della propria firma digitale e sui rischi, anche penali, che si rischia di correre.

L'estensore dell'articolo, Cesare Ciabatti, riporta alcune sentenze sull'argomento:

 

  • Cassazione penale, Sezione V, Sentenze 27 agosto 2013, n. 35543 e 10 marzo 2009, n. 16328: “sul piano oggettivo, ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata (art. 485 Cp.), il consenso o l’acquiescenza della persona di cui sia falsificata la firma, non svolge alcun rilievo, in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sé un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento sull’effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile ignoranza della legge penale. Sul piano soggettivo, nel delitto in questione, per l’integrazione del dolo specifico non occorre il perseguimento di finalità illecite, poiché l’oggetto di esso è costituito dal fine di trarre un vantaggio di qualsiasi natura, legittimo od illegittimo”;
  • Cassazione penale, Sezione V, Sentenza 5 luglio 1990: “posto che il verbale di ricezione di dichiarazione di appello da parte del Cancelliere costituisce un atto pubblico facente fede fino a querela di falso, sussiste il reato di falso in atto pubblico anche qualora tale verbale sia stato redatto e sottoscritto da un coadiutore giudiziario col consenso del cancelliere[…]”;
  • Cassazione penale, Sezione V, Sentenze 12 luglio 2011, n. 32856 e 12 maggio 2011, n. 24917: “in tema di falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 Cp.), ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, mentre non è richiesto l’animus nocendi né l’animus decipiendi, con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno”.

e richiama alcune disposizioni del Codice penale in merito alla falsità degli atti:

  • art. 476 Cp. “Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”: “il ‘Pubblico Ufficiale’, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a 6 anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da 3 a 10 anni”;
  • art. 491-bis Cp. “Documenti informatici”: “se alcuna delle falsità previste dal presente Capo riguarda un documento informatico pubblico avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del Capo stesso concernenti gli atti pubblici”;
  • art. 493 Cp. “Falsità commesse da pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico”: “le disposizioni degli articoli precedenti sulle falsità commesse da Pubblici Ufficiali si applicano altresì agli impiegati dello Stato, o di un altro Ente pubblico, incaricati di un pubblico servizio, relativamente agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni”.


In sintesi, è bene che ognuno utilizzi esclusivamente la propria firma digitale.

Per approfondire vai all'articolo pubblicato sul quotidiano on-line degli Enti Locali



 
Categoria: Contributi professionali Data di creazione: 21/11/2019
Sottocategoria: Amministrazione digitale e nuove tecnologie Ultima modifica: 21/11/2019
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Autore: Santini Marco Pagina letta 2345 volte



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